Conosciamo le motivazioni ufficiali della scelta di riaprire le scuole e tenerle aperte: la didattica a distanza produce danni irreparabili nelle giovani generazioni. Schiere di esperti di vari settori hanno offerto il loro esimio parere a sostegno dell’apertura. Della scuola, si sa, parlano sempre soltanto coloro che non vi lavorano.
Le vere motivazioni possiamo solo inferirle, tra le pressioni dell’utenza e di Confindustria e l’ostinazione di un ministro della cui lucidità e adeguatezza al ruolo che riveste cominciamo seriamente a dubitare.
Purtroppo la scelta della didattica in presenza totale per il I ciclo non è stata così positiva come ci si aspettava neanche dal punto di vista didattico-educativo.
La didattica mista a singhiozzo, che quasi tutte le scuole stanno sperimentando ha mostrato tutti i suoi limiti e quanto sia destabilizzante per gli alunni. Una DDI programmata a monte, invece, ed erogata per tutto l’anno scolastico, ossia letteralmente e sistematicamente “integrata”, avrebbe potuto risolvere tanti problemi.
Il tracciamento casi e è saltato; il monitoraggio si è interrotto con l’ultima pubblicazione dati Miur del 15 ottobre, dati non differenziati per grado di scuola. Il personale scolastico è lasciato senza una seria tutela della salute.
I sindaci restano l’unico presidio a doversi assumere la responsabilità delle “chiusure”.
Ad oggi, insomma, pare sia meglio NON sapere e non far sapere cosa sta succedendo nelle scuole.
Le raccomandazioni del CTS e le “opinioni degli esperti”.
A parte le consuete misure igienico-sanitarie, al centro del dibattito iniziale sulle condizioni necessarie per la riapertura delle scuole a settembre c’era l’annosa questione degli spazi. Spazi adeguati a garantire un distanziamento di fatto impossibile a causa dell’endemico sovraffollamento di molte delle nostre scuole causato da anni di pseudo riforme, il cui unico obiettivo è stato il taglio degli organici attuato attraverso continui dimensionamenti e accorpamenti, reggenze, eliminazione delle compresenze e altre simili subdole misure.
Parallelamente, si proclamava la necessità di cambiare passo, innovare la didattica, introdurre e implementare le nuove tecnologie, modificare l’essenza stessa del fare scuola per essere al passo con i tempi.
Pochi notavano che le due linee di intervento, così come erano state intese, quella pseudo organizzativa al servizio delle esigenze di bilancio e quella didattica erano inconciliabili.
Non ci può essere innovazione e personalizzazione nella didattica senza ripensare l’organizzazione degli spazi e dei tempi del fare scuola. Gli spazi mancano o sono inadeguati e, comunque, sempre insufficienti. Questo in tempi normali.
Ai tempi del COVID?
Si è ritenuto sufficiente, per attuare il distanziamento fisico, prioritaria misura di prevenzione, il famoso metro tra le rime buccali e, almeno fino a novembre, l’obbligo della mascherina soltanto in contesto dinamico.
Ricordiamo che il contesto “statico” a scuola non esiste. O meglio, la nostra scuola è anche troppo statica dato che i nostri alunni restano seduti per 5 o 6 ore nella stessa classe e nella stessa posizione ma non lo è se si considera la distanza in tempo di pandemia: il metro è insufficiente perché bastano pochi movimenti a ridurlo.
Che ne è, invece, dei due metri quadri (almeno) ad alunno previsti dal D.Lgs 81/2008 e del D.M. del 26/08/1992 (prevenzione incendi edilizia scolastica), in base al quale nessuna aula può ospitare più di 26 persone, docenti inclusi? Lettera morta come altre leggi dello Stato?
Siamo al paradosso che le misure anti contagio prevedono parametri inferiori a quelli previsti dal Testo Unico per la sicurezza.
La situazione reale in termini di sicurezza alla riapertura delle scuole a settembre.
Non potendo risolvere il problema della carenza di spazi, sono state adeguate le norme alla realtà producendo situazioni grottesche oltre che pericolose: aule con banchi ovunque, attaccati alle pareti accanto alle finestre, ai radiatori, all’ingresso, fronte muro ma tutti entro gli spazi segnati a terra dal nastro bicolore. Classi ugualmente sovraffollate ma con i piedi dei banchi perfettamente coincidenti con le scansioni a pavimento del fatidico metro, almeno all’inizio della prima ora perché tra zaini, cartelle e movimenti nell’arco della mattinata è impossibile mantenere intatta la configurazione prevista e accuratamente ricreata a fine giornata. La cattedra incastrata tra parete, cavi dei PC e delle LIM (dove ce ne sono), banchi non solo frontalmente ma anche ai lati delle cattedre.
E le mascherine? Finalmente obbligatorie da novembre, quando anche il governo ha preso atto del fatto che la mascherina protegge gli altri solo nel caso in cui il contagiato la indossi e non il contrario. Una battaglia quotidiana per convincere ragazzi recalcitranti a indossarle sempre e correttamente.
E l’areazione? È arrivato il freddo per cui arieggiare di continuo, azione fondamentale per disperdere le eventuali goccioline contaminate, significa mettere a rischio la salute degli alunni seduti praticamente “sotto le finestre”. Gli impianti di riscaldamento presentano poi altre criticità.
E dove proprio non si riusciva a rispettare il pur inadeguato metro di distanza?
Sono intervenuti i banchi a rotelle a consentire l’impossibile operazione di sistemare tutti gli alunni nei relativi istituti. Banchi a rotelle la cui funzione è rendere l’aula un contesto dinamico, sono stati utilizzati per ridurre i parametri di un contesto statico. Operazione impossibile: nelle aule con i banchi a rotelle il metro è diventato una misura elastica e dinamica.
Di fatto è stata autorizzata una gravissima riduzione della distanza di sicurezza.
Il monitoraggio sull’andamento dei contagi nella scuola e l’impatto della scuola sull’andamento dei contagi
In molti contesti si è sperimentato sin da subito un cortocircuito del complesso iter di tracciamento – comunicazione e isolamento dei contagi tra aziende sanitarie, comuni e scuole. La lentezza nei riscontri da parte delle aziende sanitarie ha creato tanta confusione e reso inapplicabili i protocolli anti contagio di molte scuole, ritardi nell’individuazione dei contagi e, quindi, nella prescrizione delle quarantene e degli isolamenti fiduciari, caos per l’effettuazione dei tamponi, ritardi nella comunicazione degli esiti e per la negativizzazione, tamponi privati non sempre segnalati.
A questo si aggiunga la mancanza di indicazioni chiare riguardo alla riammissione a scuola in caso di malessere non legato al COVID. È previsto che l’alunno (a eccezione della scuola dell’infanzia), possa tornare in classe senza certificato medico. L’ANP ha chiesto che venga reintrodotta l’obbligatorietà del certificato medico per l riammissione a scuola, data la congiuntura sanitaria. Ogni Regione, alla fine si muove per proprio conto: nel Lazio è previsto l’obbligo del certificato medico per assenze superiori ai 5 giorni; in altre regioni è sufficiente l’autocertificazione dei genitori che però presuppone il via libera del pediatra.
Il problema è che molti sintomi invernali sono compatibili con il COVID. Il timore è che prevedere l’obbligo del tampone prima di autorizzare la riammissione a scuola mette a rischio l’intero sistema.
Di fatto, il tracciamento è saltato poco dopo l’apertura delle scuole.
Nel caos l’unica strada percorribile è stata, in molti casi, la chiusura di interi plessi o istituti ad opera dei sindaci, con il risultato che la tanto paventata didattica a distanza alla fine si è attivata anche per classi a contagio zero.
Altro che utilizzo mirato della DDI. Dad per tutti o il disastro della didattica mista al bisogno.
Nel frattempo il monitoraggio che avrebbe dovuto servire anche a rilevare l’impatto dell’apertura delle scuole sulla curva dei contagi si è, diciamo opportunamente, interrotto.
O meglio, il Miur non ha più pubblicato i dati. Non saperli avrebbe messo al riparo il Ministero da eventuali assurde richieste di chiusura delle scuole del primo ciclo?
Veniamo aggiornati quotidianamente sui contagi a livello provinciale grazie alla Protezione Civile, ma nulla è pubblicato per le scuole, se non sporadici rapporti del Miur, l’ultimo del 15 ottobre, secondo il quale al 10 ottobre risultavano positivi 5.793 studenti, 1.020 insegnanti, 283 soggetti appartenenti al personale non docente. Nessuna distinzione tra i diversi gradi scolastici, sebbene questo sarebbe un dato fondamentale.
La rivista Wired, tuttavia, ha prodotto istanza di accesso generalizzato agli atti ed ha ottenuto e pubblicato i dati dei contagi a scuola al 31 ottobre: 65 mila casi di contagio tra alunni e personale scolastico. Questo è il quadro reale di cosa sta avvenendo nella scuola a prescindere da dove questi contagi si siano generati.
Perché la scuola agisce comunque da cassa di risonanza o moltiplicatore dei contagi pur generati in altri contesti, familiare o sociale che siano.
Se le scuole segnalassero i contagi su un portale appositamente predisposto, i dati sarebbero immediati e molto preoccupanti.
In assenza di dati specifici si può meglio fingere che il problema non esista.
Dal lato del rapporto età – diffusione del contagio nulla di scientificamente dimostrabile, ci viene detto.
La disposizione della DAD al 100% nella scuola secondaria di II grado evidentemente non è scaturita dal monitoraggio dei contagi, di cui i dati pubblicati da Wired rivelano la gravità, ma da problemi correlati, primo tra tutti i trasporti, settore in perenne difficoltà: i trasporti cittadini, treni e pullman locali.
Il problema si è, evidentemente, risolto dato che il nuovo DPCM prevede un ritorno alla didattica in presenza al 75% immediatamente dopo le festività natalizie. Momento particolarmente opportuno dopo i momenti di socialità e gli spostamenti pur ridotti di questo Natale.
Alla mancata soluzione del sovraffollamento nelle scuole si aggiungerà la mancata soluzione di quello sui mezzi pubblici. Lo scaglionamento dell’entrata si è rivelata misura impraticabile; il potenziamento delle corse nei territori “montani” o scarsamente popolati, improponibile.
Infine c’è la scuola dell’infanzia – questa sconosciuta: se ne parla davvero poco, come se non esistesse, come se non avesse gravi problematiche specifiche: distanziamento impossibile, mascherine inutilizzabili, mensa, uso dei bagni e igienizzazione.
La scuola dell’infanzia NON è scuola dell’obbligo per cui si potrebbe benissimo limitarne l’accesso ai bambini i cui genitori sono entrambi lavoratori. Invece siamo al paradosso che i docenti sono presenti e i genitori decidono se e quando portare i bimbi a scuola, in alcuni casi anche in quali orari, segno evidente che per costoro non si tratta di un servizio necessario ma di un centro ricreativo di cui usufruire al bisogno.
La mancata tutela dei lavoratori della scuola
Innanzi tutto una mancata applicazione della normativa sulla sicurezza. Alla valutazione della gravità del rischio in ambiente di lavoro sappiamo bene che concorre il tempo di esposizione e che un rischio moderato può diventare un rischio medio-alto se associato a tale parametro. Che in un’aula scolastica si permanga per 5-6 è chiaro a tutti. Gli alunni per l’intera durata della giornata scolastica, i docenti dell’infanzia e in parte della primaria anche, i docenti della secondaria, invece, si spostano di aula in aula dove “permangono” da una ad un massimo di 3 ore.
Quanto alle disposizioni per i lavoratori “fragili”, riuscire ad applicarle è stata una vera odissea, tra medici “competenti che hanno confuso fragilità e inidoneità, medici di base e Dirigenti scolastici riluttanti.
Resta di altrettanto confusa applicazione l’iter normalmente previsto per le “malattie professionali”, benché come tale sia stato riconosciuto il Covid (art. 42, comma 2, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18).
Una volta ricevuto dal lavoratore il certificato che attesta la malattia, le scuole stanno trasmettendo denuncia all’INAIL?
Cosa fare ?
Monitoraggio
Servono dati dettagliati, completi e tempestivi che consentano di predisporre delle chiusure “intelligenti” rapide ed efficaci, individuando quali scuole chiudere.
Ad oggi, invece, tutto è demandato ai sindaci che, una vota raggiunto ciò che ritengono una soglia di contagio inaccettabile, dispongono la chiusura per una o due settimane: chiusura generalizzata, ovviamente.
Perché non dare ai Dirigenti Scolastici il potere di emanare provvedimenti di chiusura in merito a situazioni di pericolo che nulla hanno a che fare con circostanze “materiali” riguardanti gli edifici o situazioni atmosferiche per le quali soltanto le autorità locali possono disporre?
Screening veloce:
Per quale motivo non si fa uno screening frequente e sistematico dei lavoratori come nelle aziende private? Come si fa a rilevare la presenza degli asintomatici, altrimenti? Lo screening veloce con l’uso di test antigenici è stato chiaramente definito come lo strumento migliore per tracciare e contenere il contagio in determinati contesti.
Protocolli certi per le chiusure intelligenti:
Restrizioni progressive in base a casi accertati: quanti casi in quante classi diverse della stessa scuola sono necessari per disporre la chiusura di una scuola? Quante scuole devono essere chiuse per disporre la chiusura di tutte le istituzioni di un territorio?
Ma tutto deve avvenire rapidamente: screening veloce, monitoraggio continuo e poteri ai Dirigenti Scolastici che evidentemente non possono fare affidamento sulle comunicazioni rapide e certe di quarantene e isolamenti da parte del Dipartimento di prevenzione.
I Dirigenti Scolastici, inoltre, devono poter attivare la DAD anche a prescindere dai contagi, qualora rilevino che il loro istituto non possa garantire gli spazi previsi dalla legge.
Una DAD-DDI certamente da regolamentare in maniera più efficace di quanto fatto finora sia per gli alunni che per i docenti, a meno che non si ritenga efficace il CCNI sulla didattica digitale, tanto atteso quanto privo di indicazioni utili e rilevanti.
Se il sistema non riesce a funzionare con tempestività, allo si abbia il coraggio di sospendere le attività didattiche in presenza fino a primavera.
Sara Angelone
Coordinatore FLP Scuola Molise